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Come creare personaggi che sembrano vivi

Un viaggio attraverso le tecniche che trasformano l’osservazione e la voce in strumenti per creare personaggi vivi e motivazioni credibili, dai piccoli gesti che rivelano emozioni ai dialoghi che ardono di autenticità e scelte che contano davvero.

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Scrivere un personaggio assomiglia a organizzare una cena in un appartamento con pareti così sottili che ogni risata trapela subito nel corridoio. Gli invitati arrivano con le loro opinioni rumorose, fragilità nascoste e allergie improbabili, mentre i vicini giurano già che chiameranno il proprietario se il volume si alza. Sulla pagina li inviti perché vuoi compagnia, non sagome di cartone. Eppure, se non gestisci la serata con tatto, curiosità e senso del ritmo, uno si prenderà tutte le olive e un altro monopolizzerà la conversazione parlando di criptovalute. In altre parole, il lettore vedrà le cuciture invece del polso. Nel laboratorio la domanda ricorrente è come far respirare un protagonista invece di lasciarlo semplicemente funzionare. La prima risposta è semplice: ascolta. La seconda richiede più mestiere: trasforma quell’ascolto in scelte che possiamo vedere, sentire, annusare e quasi toccare.

Pensa a quando uno sconosciuto ti ferma per strada per chiedere indicazioni. Prima di una sola parola registri la postura: spalle tese o afflosciate, mani affondate nelle tasche o che frullano nell’aria. Il corpo parla già. Tu, come autrice, hai lo stesso potere. Prima che il tuo personaggio pronunci la prima battuta, mostra l’inclinazione della schiena mentre aspetta l’autobus, il modo in cui il tallone picchietta tre volte sull’asfalto prima di restare fermo, l’indecisione di fronte a due pomodori identici al supermercato. Questi dettagli fisici non sono riempitivi, portano kilowatt d’informazione. Il lettore li assorbe senza pensarci e costruisce un fascicolo privato: ansioso, sicuro, annoiato, speranzoso. Quando finalmente arriva la prima frase, atterra su un terreno con grana, non nel vuoto.

La voce è il punto in cui una storia prende fuoco o si spegne. Tutti riconosciamo l’istante in cui un dialogo suona falso, come una notifica nel mezzo di un concerto. Per evitarlo, ricorda che il parlato è raramente grammaticale: zigzaga, si contraddice, rivela segreti attraverso il ritmo prima che con le parole. Un adolescente di Siviglia accorcerà le frasi, le riempirà di anglicismi, allungherà le vocali per marcatura; una bibliotecaria in pensione di Manchester preferirà periodi lunghi cuciti da congiunzioni, come se riponesse le idee su uno scaffale. Se appiattisci entrambe le voci nella stessa sintassi neutra, cancelli le impronte digitali. Registrare brani di conversazioni reali, sempre con consenso, è un classico, ma la trascrizione grezza non basta: serve distillare. Il dialogo autentico divaga, sulla pagina deve risultare concentrato, come una testimonianza orale filtrata da un buon editor. Un esercizio efficace consiste nello scrivere di getto una scena solo con il parlato captato, lasciarla riposare una notte, poi tagliare metà delle parole al mattino. Quel che resta pulsa davvero.

La motivazione è il cuore della credibilità e dev’essere profondamente personale. Troppi manoscritti dipendono solo da forze esterne: il cattivo rapisce, scoppia la tempesta, l’economia crolla. Questi eventi contano, certo, ma contano in modo diverso per ogni persona. Chiediti perché il tuo protagonista si ossessiona per la bici rubata al capitolo tre. È solo un mezzo di trasporto o l’ultimo regalo di una nonna che esprimeva affetto con metallo e grasso anziché abbracci? Quel livello trasforma l’intralcio in lutto silenzioso. La motivazione non deve essere grandiosa, solo precisa. Propongo spesso il monologo dei dieci minuti: il tuo personaggio confessa a un perfetto sconosciuto, durante un volo di dodici ore, la ragione di una scelta cruciale già compiuta, inserendo almeno un ricordo sensoriale. All’inizio mette a disagio, poi la struttura nascosta emerge.

Nessuno cammina veramente da solo, neppure in viaggio solitario. Le relazioni sono specchi che deformano o raddrizzano il riflesso. La chimica tra figure si misura per contrasto. Se la tua eroina allinea tre sottobicchieri al millimetro, introduci un’amica che abbandona una tazza gocciolante senza scuse. L’attrito accende la scena. Quando due personaggi parlano, deve avvenire uno scambio d’energia: uno esce dalla pagina un filo cambiato, fosse anche di un respiro. Per verificare l’autenticità di ogni voce, riscrivi un dialogo invertendo tutte le battute; se fila liscio, manca la personalità.

L’ambientazione viene spesso trattata come cartone, però plasma quanto un gene. L’umore muta con l’afa di agosto o la pioggerellina di gennaio. Lascia che la tua eroina sudi sotto il lino mentre aspetta la metro, alone che si allarga al collo, imbarazzo in salita. Lascia che il tuo detective s’inoltri in un vicolo perché l’odore di muschio gli ricorda una tenerezza infantile mai nominata. Uno stimolo sensoriale basta a inondare il racconto di passato senza imporre un paragrafo d’esposizione. L’importante è scegliere dettagli che rafforzino l’emozione dominante invece di competere con essa. Se la scena vuole tensione, metti la conversazione sotto un neon tremolante. Se punta alla tenerezza, fai entrare una brezza che porta zucchero di pasticceria dalla finestra socchiusa. Invisibili quando funzionano, queste scelte governano tutta l’atmosfera.

Il conflitto è la ginnastica cardiaca del personaggio; senza di esso i polmoni rimangono a metà. Uno scontro non è sempre urlato. Il braccio di ferro interno può essere altrettanto potente. Una pianista timida si siede al piano, dita tremanti, pubblico dissolto nella luce, e il silenzio prima del primo accordo rimbomba più di mille percussioni. Lì motivazione, voce e corpo si scontrano. Se la trama dipende solo dagli ostacoli esterni, innestale una contraddizione intima. Fai amare la bellezza al ladro che la deturpa rubando arte. Fai temere la folla all’attivista che parla davanti a centinaia perché la solitudine fa più male.

Il passato, dosato con cura, arricchisce invece di inceppare. La tentazione di riversare l’intera biografia nel primo capitolo è comprensibile; ami la tua creatura e vuoi che il lettore la ami. Resisti. Rivela ricordi come foto trovate in soffitta. Ogni immagine apre domande ed emozione. Datti una regola: tre fatti concreti di storia personale nel primo terzo del romanzo, collegati a un momento presente. Una cicatrice sul ginocchio sinistro, l’odore di resina che ricorda un campeggio, una suoneria che blocca il respiro perché identica alla sveglia materna. Più avanti approfondisci solo quando la trama lo esige. Il mistero alimenta la curiosità, la rivelazione mirata gratifica.

Umorismo e tenerezza aiutano i personaggi a inspirare. Spesso dimentichiamo che la risata incrina la tensione

e svela la vulnerabilità. Un soldato scivola nella doccia della caserma, impreca, poi ride dell’assurdo di scarponi vicino a shampoo rosa. Questi momenti allargano lo spettro emotivo e impediscono la monotonia. Una gentilezza fondata su un gesto minimo, tenere da parte l’ultimo cucchiaio di zuppa, crea complicità più dei mille elogi narrati. Non serve ribadire che un padre ama la figlia; basta vederlo che le toglie foglie dai capelli dopo l’allenamento.

Se tutto questo ti sovrasta, ricorda che la scrittura è iterazione. Lanciati senza rete, revisiona senza pietà, leggi a voce alta come in teatro. Osserva le unità di respiro nelle frasi. Una linea lunga può imitare un pensiero che vagheggia; una raffica di tre parole cristallizza il panico. Varia la struttura per riflettere lo stato mentale. Quando la protagonista va in tilt la frase può perdere pronomi o togliere verbi; quando si distende, lascia la linea a dondolare come bucato al sole.

Leggere in larghezza resta il maestro più affidabile. Nota come Toni Morrison regala a Sula una risata che inquieta il quartiere, come Raymond Carver svela oceani in mezza frase. Studia il gioco di registri di Zadie Smith, la sua capacità di passare da radici a desideri attuali. Non stai rubando, stai apprendendo il mestiere. Tornata al tuo manoscritto, gli echi saranno trampolini non copia incolla.

Fidati infine dei polmoni del lettore. Saranno loro a dare altra vita ai tuoi personaggi appena il libro lascerà la scrivania. Il tuo compito è fornire abbastanza sangue, muscolo e osso perché la magia avvenga. Non temere l’imperfezione. Una lieve zoppia rende memorabile un eroe; una tazza scheggiata ancora di più fissa un romanzo d’amore. I personaggi che respirano non brillano come cromo nuovo, portano macchie di caffè sulla manica e playlist mai confessate.

La prossima volta che il tuo protagonista sembrerà rigido chiudi il portatile. Prendi un taccuino, siediti su una panchina e osserva un passante per cinque minuti. Immagina dove nasconde i segreti d’infanzia, come reagirebbe all’odore di pane bruciato, perché la scarpa sinistra cigola mentre la destra tace. Dagli un nome, offrigli un posto nel tuo racconto. Se accetta, metti davanti a lui qualche oliva e guarda come trattiene il nocciolo tra lingua e denti. Scrivilo. Questo è catturare il respiro sulla pagina.


Marina Torres lavora come giornalista letteraria a Barcellona da oltre dieci anni. Recensisce romanzi e poesia per diversi mezzi e cerca sempre di raccontare le storie degli autori senza complicazioni. Ha studiato Letteratura e le piace avvicinare i libri a ogni tipo di lettore, senza creare barriere. La sua scrittura è diretta, gentile e pensata perché chiunque possa entrare in un testo senza timore.



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